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Il progetto

«Cardin ripensaci:
a Venezia non servono grattacieli»

L'architetto Gregotti contrario al Palais Lumière. «Meglio finanziare uno studio per la trasformazione dell'area del Petrolchimico»

Il progetto

«Cardin ripensaci:
a Venezia non servono grattacieli»

L'architetto Gregotti contrario al Palais Lumière. «Meglio finanziare uno studio per la trasformazione dell'area del Petrolchimico»

«Caro Cardin, ripensaci: se vuoi fare un regalo a Venezia, fai qualcos'altro». Vittorio Gregotti ha un'aria mite ma il suo giudizio sul Palais Lumière, la torre di 245 metri che il novantenne stilista francese di origini trevigiane intende lasciare ai posteri nel territorio di Marghera, è categorico. «Di questo progetto se ne parlava da tempo in Laguna - dice l'architetto, classe 1927, novarese di nascita che si sente un po' veneziano per via della moglie - ma poi era stato liquidato con giustificata ironia». Invece eccola riapparire la torre disegnata da Cardin stesso che l'ha descritta come «tre fiori adagiati in un vaso di Murano, con gli steli piegati sotto il peso di sei corolle». Ieri il Consiglio comunale di Venezia ha dato il via libera al sindaco per la conferenza dei servizi: un primo sì per la futura decisione collegiale (una quindicina gli enti coinvolti) sulla realizzazione dell'opera che prevede un investimento di tre miliardi (metà per la costruzione). Sulla carta una grande occasione per rilanciare un'area industriale in crisi.

Vittorio Gregotti, 85 anni, tra i maggiori progettisti del mondoVittorio Gregotti, 85 anni, tra i maggiori progettisti del mondo
Gregotti scuote la testa. L'uomo che nei suoi libri e nelle sue lezioni ha spiegato come compito dell'architettura sia di «produrre un'ipotesi di ordine», che il progetto è «strategia della resistenza per cui si richiede rigore e regole severe e un modo di procedere lento e intenso, fatto di tracce discrete», definisce quello di Cardin «un grattacielo di accademica bizzarria, senza alcun fondamento insediativo, una modesta adesione alle frivolezze estetiche del postmoderno». Ma non è la questione estetica il punto centrale. «Per carità, lì i gusti possono essere differenti. Il problema non è neanche quello dello skyline veneziano: l'edificio non si imporrebbe sulla vista d'insieme della città storica. E poi io ritengo che anche il tanto vituperato Petrolchimico realizzato negli anni Trenta sia stata una presenza appropriata, così diversa dal tessuto urbanistico monumentale eppure in un dialogo coerente con l'identità e il ruolo di Venezia». Infine il nodo vero non sta neppure nell'altezza della torre che creerebbe problemi nell'avvicinamento all'aeroporto di Tessera: «Questioni tecniche per le quali si può trovare una soluzione».

E allora Gregotti qual è il punto? L'architetto apre una mappa dell'area e il tavolo basso da salotto della sua bella casa milanese diventa come uno dei piani tecnici da lavoro del suo studio. «Vede, a destra del ponte della Vittoria c'è l'area di Marghera, tutta da reinterpretare: bisognerebbe capire se puntare ancora sulla trasformazione degli idrocarburi e comunque fare uno studio sulla futura convivenza di attività industriali, laboratori tecnologici e area residenziale che storicamente è a bassa densità. E poi mettere queste realtà in relazione con il resto del territorio. Quindi Cardin finanzi gli studi sulla trasformazione del tessuto urbano e poi realizzi un'opera coerente con questo sforzo».

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Lo skyline di Venezia in cui dovrebbe inserirsi
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Un uomo di novant'anni forse ha voglia di lasciare un segno tangibile, un simbolo, un totem. E poi il grattacielo, dicono alla «maison», prevede con gli appartamenti e i centri commerciali anche un polo universitario e una serie di infrastrutture pubbliche. Oltre a un sistema di approvvigionamento energetico ecologico di cui beneficerebbe tutta l'area. «Per favore, non pronunciamo la parola eco: ormai è un'etichetta che si appiccica a ogni edificio per farlo risultare seducente. La torre resterebbe un dannoso atto esibitorio contro ogni coscienza della storia di quel luogo».

Il progetto del Palais LumièreIl progetto del Palais Lumière
Insomma per Gregotti i 245 metri del Palais Lumière sono, malgrado le buone intenzioni, un altro esempio dell'anonimato totale, cioè della mancanza di ogni legame con il luogo in cui si trovano, che caratterizza i grattacieli di tutto il mondo. «A Shanghai come a Milano; a Barcellona, che pure 30 anni fa ha trasformato il suo volto grazie a un urbanista come Bohigas, come a Londra dove la Scheggia di Renzo Piano ha un impatto tale che sembra un fotomontaggio. Rappresentano una pura espressione del capitalismo finanziario globalizzato, oggetti isolati in competizione tra loro. Uniti dall'ideologia del postmoderno che sin dalla sua fondazione ha dichiarato apertamente di essere contro il contesto, contro il design urbano, contro la storia... Non ho dubbi: tolta New York che ne ha fatto la sua essenza, per il resto del pianeta i grattacieli sono diventati la negazione della città».

Alessandro Cannavò24 luglio 2012 | 16:46© RIPRODUZIONE RISERVATA

 
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