Halle Berry in missione: «Io, astronauta che cerca di salvare la Terra dalla Luna...»

di Valerio Cappelli

«Moonfall tratta temi attuali, ma non è ambientalista». E’ l’unica attrice nera ad aver vinto l’Oscar vent’anni fa (Monster’s Ball) come attrice protagonista: «Tanti dicevano che non ero giusta. Il razzismo lo conosco, l’ho sempre combattuto»

Halle Berry in missione: «Io, astronauta che cerca di salvare la Terra dalla Luna...»

Qui la luna sale, sale. E si avvicina pericolosamente alla Terra… Roland Emmerich crea al cinema mondi dominati dalle tenebre, senza albe né tramonti. Il regista specializzato in disastri apocalittici ha voluto Halle Berry come sua nuova musa in Moonfall (nelle sale dal 17). È in missione per salvare il mondo. Il pianeta rischia di scomparire a causa della Luna, che devia dalla sua orbita mostrando il lato oscuro sotto la spinta misteriosa di una massa ferrigna, raccapricciante; ricorda una murena ma con i tentacoli di una piovra informe. E sprigiona una violenza fuori controllo.

Halle, lei chi è nel film?

«Il mio ruolo in origine era stato pensato per un uomo. Lavoro alla Nasa che è un ambiente maschile, come il cinema, sono un’astronauta con un carattere determinato e una donna di colore, non era affatto scontato che Roland bussasse alla mia porta».

Lei è l’unica attrice di colore ad aver vinto l’Oscar.

«Come protagonista, sì. Sono passati vent’anni da Monster’s Ball. L’Oscar fu commovente però non ha cambiato la mia carriera. Tanti dicevano che non ero giusta per il ruolo della cameriera col marito in prigione condannato alla sedia elettrica. Marc Forster, il regista credette in me».

Lei è stata anche una Bond Girl, la chiamavano la Venere nera di Hollywood.

«Non ho mai voluto definire la mia carriera attraverso la bellezza, finendo rinchiusa in un beauty box».

Ha vissuto il razzismo?

«Lo conosco, l’ho sempre combattuto. Ho cercato la profondità dei personaggi. Molte donne prima di me avrebbero meritato di vincere l’Oscar. La domanda è: perché non l’hanno vinto? Quello che posso dire è che in questi vent’anni sono stati compiuti progressi, oggi ci sono tante donne registe, produttrici, star. I ruoli per noi sono aumentati. Che potessi dirigere Bruised lo scorso anno, anche questo all’epoca era inimmaginabile. E vorrei continuare come regista».

Cosa racconta «Moonfall»?

«Alcuni scienziati si rendono conto che una misteriosa forza sta portando la Luna in rotta di collisione con la Terra, un impatto che annienterà il mondo. Intanto si scatena la furia degli elementi. Maremoti, panico, disordini, saccheggi… Dietro ci sono dinamiche familiari dei protagonisti (con me, Patrick Wilson, John Bradley, Michael Pena), problemi personali e demoni interiori. In realtà siamo un gruppo un po’ sgangherato di antieroi… Il regista ci diceva sempre che in Germania, dov’è cresciuto, non ci sono supereroi».

È il secondo film catastrofista, sotto pandemia, insieme a «Don’t look up».

«Proprio per il Covid, che ci ha costretti a vivere così isolati e divisi, possiamo vederlo con occhi diversi; ci ha insegnato a vivere ogni giorno la coscienza della paura, con una consapevolezza diversa».

I poeti alla Luna parlano come a una creatura cara…

«È un simbolo quasi familiare della forza rasseneratrice della natura. Qui invece c’è il suo lato terribile. Ci siamo chiesti: che cosa accadrebbe se cadesse sulla Terra. Un luna park dell’orrore? Vediamo intere città sommerse da maremoti, tempeste di neve, meteoriti…E’ un film parla di temi del nostro tempo, ma non lo definirei ambientalista».

La conquista della Luna?

«Avevo tre anni, ma lo ricordo. Il film ipotizza che l’impresa celasse il segreto che avrebbe provocato la caduta della Luna sulla Terra, si ipotizza che non sia roccia solida ma una megastruttura dotata di ulteriore massa generatrice di un’anomalia. Credo nel potere della luna, quando diventa piena lo capisco senza guardare il cielo, lo sento dentro di me, l’energia, il corpo che cambia…».

Com’è recitare dentro uno shuttle?

«Il suo abitacolo era l’unico oggetto concreto. Alla Nasa sono stati generosi nel lasciarci usare un loro shuttle che ha compiuto 25 missioni nello spazio. Ci hanno fornito spiegazioni per non farci spingere bottoni a caso. Per il resto, abbiamo dovuto ricorrere alla nostra immaginazione perché intorno non avevamo nulla, non avevamo dialoghi di supporto, solo effetti digitali, schermi verdi o blu per gli effetti di sovrapposizione delle immagini. La sfida era questa, rendere credibile quella dimensione. Ci guardavamo e ci chiedevamo: ora a cosa stai pensando?».

Com’è il mondo visto virtualmente da lassù?

«Uao, è fantastico, soprattutto quando si tratta di metterlo in salvo».

6 marzo 2022 (modifica il 6 marzo 2022 | 07:01)